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Prefazione
di Monsignor Rino Fisichella
Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

Prefazione di Monsignor Rino Fisichella
Una delle immagini più suggestive a cui ricorre spesso la Sacra Scrittura è quella del cammino. La storia della salvezza inizia con il cammino di Abramo verso una terra di cui conosce solo la promessa. Sarà il cammino di una vita che permetterà al vecchio patriarca di intravedere il compimento della parola di Dio.

Di un cammino lungo e tortuoso è segnata anche la storia di Mosè e del popolo liberato dalla schiavitù dell'Egitto: per quarant'anni quel cammino nel deserto segnò la rivelazione del nome di Dio, la codificazione della Legge e l'ingresso nella terra «dove scorre latte e miele» (Es 3,8). Un cammino intriso di forti emozioni e di grandi tradimenti: solo la fatica e lo scorrere dei decenni permisero quella purificazione e conversione necessarie per dare identità e prosperità al popolo eletto.

Il cammino determina anche la storia dei profeti: da Elia fino a Zaccaria la loro vita è segnata da un percorso che di volta in volta porta questi uomini da Dio per essere annunciatori di una Parola che provoca situazioni storiche di rinnovata fedeltà al patto originario.

Neppure la storia di Gesù è estranea all'icona del cammino: fin dal grembo di sua madre, Gesù percorre i sentieri della Giudea e della Galilea. All'annuncio di diventare madre, Maria porta con sé il figlio appena concepito per la potenza dell'Altissimo: Betlemme, l'Egitto, Nazareth e il tempio a Gerusalemme segnano l'infanzia del Figlio di Dio che sembra non conoscere sosta alcuna. Non è neppure un caso che Luca abbia voluto strutturare il suo Vangelo come un cammino progressivo del Maestro verso Gerusalemme dove trova compimento il mistero della salvezza.

L'icona del cammino, comunque, sembra trovare la sua forza espressiva più alta quando Gesù attesta di essere lui stesso la via. L'espressione del Vangelo di Giovanni è paradigmatica: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Egli non è solo in continuo cammino perché il Vangelo possa raggiungere quanti sono in ricerca di salvezza e hanno desiderio di trovare la verità sulla propria esistenza, egli è anche il cammino stesso che ogni uomo è chiamato a percorrere per dare senso pieno e compiuto alla propria vita.

La forza dell'immagine, come si nota, rinvia oltre se stessa. Il cammino è uno strumento per incontrare qualcuno. Non ci si mette per strada per rimanere soli, ma per incontrare delle persone. È questo, alla fine, il senso del percorso che la Sacra Scrittura intende delineare. Il primo incontro da realizzare è con Dio e con la sua parola creatrice. Quanti si mettono in marcia, infatti, lo fanno per seguire una vocazione che conduce all'incontro personale con Dio che si rivela. Le tappe di questo itinerario sono determinate dalla Parola, con la quale le vicende della vita e della storia acquistano significato, e dai segni che impegnano a individuare il giusto senso a cui approdare. C'è, poi, l'incontro con le persone. L'icona di Emmaus (Lc 24,13- 35) permane con la sua carica di significato profondo. Il cammino dei discepoli evita di essere un errare insignificante, perché permette l'incontro con il Risorto che illumina la vita e dona speranza per il futuro.

Questo incontro con Dio equivale a un'esperienza di vera misericordia. Non potrebbe essere altrimenti. Colui che manifestò a Mosè il suo nome, non potendo mostrare il suo volto, e attesta: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), è lo stesso che emana misericordia dal suo volto che ormai può essere visto e contemplato. Con ragione Papa Francesco scrive che nel volto di Gesù risplende la misericordia del Padre. La sua vita «non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all'insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione» (Misericordiae vultus, n. 8). In lui ognuno è finalmente accolto da Dio e nessuno può sentirsi estraneo o escluso dalla partecipazione alla vita divina.

Questo Evangeliario nasce dal desiderio di far cogliere questa esperienza di incontro con la misericordia del Padre. È il primo frutto del Giubileo della Misericordia e porta impresso in ogni pagina il senso profondo di questa esperienza unica e sempre nuova che consente di percepire in profondità il valore e il senso dell'amore di Dio. Il cammino che l'Evangeliario permette di compiere è certamente quello dell'ascolto religioso della parola di Dio (cfr. Dei Verbum, n. 1) che tutto trasforma, ma è compiuto attraverso il cammino della bellezza. Si ama ciò che è bello e quanto esprime la bellezza originaria provoca all'amore. La via della bellezza possiede questo scopo: permettere di amare. Essere avvolti dall'amore primordiale di Dio che impegna a un amore per i fratelli. Ascoltare la sua Parola e proclamarla nell'azione liturgica comporta l'impegno a viverla con una testimonianza che riflette la misericordia di Gesù verso tutti, ma soprattutto i più deboli, emarginati, soli e poveri. È una bellezza che trasforma perché rende ricchi e fecondi di quell'amore misericordioso che ha cambiato il volto della storia.

L'incontro con la bellezza della parola di Dio, pertanto, sia favorito anche dalla bellezza dell'Evangeliario che la contiene e custodisce perché la comunità cristiana la attesti come sempre viva. Per sua natura esso è portato processionalmente verso l'altare all'inizio della celebrazione eucaristica, e all'ambone per la proclamazione del Vangelo. Questo cammino sacro che viene percorso sollevando l'Evangeliario perché sia visto e ricercato come fonte inesauribile e genuina ricchezza per la vita, sia anche il segno dell'incontro consolante con il Vivente che non si stanca mai di rivelare la sua Parola eterna e di mostrare il suo volto da dove rifulge la misericordia del Padre.
Teologia dell'Evangeliario
di Don Alessandro Amapani
Teologo pastoralista e liturgista

Teologia dell'Evangeliario
La Parola di Dio, come fons et culmine della vita cristiana, esige uno stile nobile e semplice nella celebrazione Eucaristica, che si manifesta nel modo di praticarla. La presenza di Cristo nella Parola, come ricorda la Sacrosanctum concilium (SC7), è omaggiata nel rito dagli onori resi all'Evangeliario, con simile rispetto a quello reso al pane consacrato; entrambi infatti sono posti sull'altare del Signore. «La centralità di Cristo nell'economia della salvezza fonda e determina la preminenza stessa che la Chiesa riserva al Vangelo, durante la celebrazione eucaristica, ponendolo al vertice della Liturgia della Parola» . Tale centralità, nella gestazione dei libri liturgici, ha condotto alla genesi sin dal VI secolo del solo libro dei Vangeli, nella forma del «quadruplice Evangelo». Infatti, nella revisione dei libri liturgici attuata da Paolo VI, il Consilium istituito, lavorando anche all'Ordo Lectionum Missae, precisò che

poiché l'annunzio del Vangelo costituisce sempre l'apice della liturgia della Parola, la tradizione liturgica sia orientale che occidentale ha sempre fatto una certa distinzione fra i libri delle letture. Il libro dei Vangeli veniva infatti preparato e ornato con la massima cura, ed era oggetto di venerazione più di ogni altro libro destinato alle letture. È quindi molto opportuno che anche attualmente nelle cattedrali e almeno nelle parrocchie e chiese più grandi e più frequentate ci sia un Evangeliario splendidamente ornato, distinto dall'altro libro delle letture.
Gesù e Matteo
Il libro dei vangeli è icona della divina Parola; in esso è materialmente contenuta la parola scritta di Dio. Tutta la storia della Chiesa, in Oriente e in Occidente, testimonia di persone che hanno sacrificato la vita per la difesa di questo libro. Non per altro l'abbondanza delle testimonianze artistiche mostra quale è stata la cura con cui si è reso anche materialmente prezioso il libro della parola di Dio, sia quello di uso privato, sia quello di uso liturgico. In modo unanime, l'ininterrotta tradizione delle Chiese d'Oriente e d'Occidente non ha mai abbandonato la venerazione del libro dei vangeli, e l'ha sempre manifestata con solennità nella diverse tradizioni liturgiche. Il Concilio Vaticano II ha riaffermato con forza l'attenzione e la venerazione del libro liturgico della Parola. Infatti, l'Ordinamento Generale del Messale Romano così dichiara:

La lettura del Vangelo costituisce il culmine della Liturgia della Parola. La stessa Liturgia insegna che si deve dare ad essa massima venerazione, poiché la distingue dalle altre letture con particolare onore: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla, che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono all'Evangeliario.
Gesù scaccia i demonis
Il libro liturgico, considerato nella sua materialità, è il segno esterno e visibile di ciò che contiene; al libro va dato lo stesso rispetto e la stessa venerazione che la Chiesa nutre verso la Parola di Dio. L'Evangeliario va venerato come la Parola di Dio. La liturgia stessa lo insegna, quando circonda il libro dei Vangeli con vari segni di venerazione: incensazione, bacio, elevazione, intronizzazione sull'altare e sull'ambone.

La collocazione dell'Evangeliario sull'altare è il primo atto liturgico che i padri conciliari hanno richiamato: «la Chiesa si nutre del pane di vita prendendolo dalla mensa sia della parola di Dio sia del corpo di Cristo» . Sono proprio i movimenti processionali - la processione d'introito e quella all'ambone, inscindibilmente unite alle acclamazioni con le quali si onora il Cristo presente nella sua Parola - che inscrivono nello spazio il tratto signoriale ed escatologico dell'avvento del Signore Veniente, memoria del profeta di Nazareth venuto nel mondo a «portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18), del Cristo presente in mezzo alla sua Chiesa e in cammino con essa (Lc 24,15). Non è senza significato che l'azione liturgica ponga in essere una tale reciprocità dialogica fra l'Evangeliario - segno della presenza di Cristo - l'altare - simbolo cristico, mensa del convito pasquale e figura del trono della croce - e l'ambone - monumento pasquale del Risorto e iconizzazione della tomba vuota.

Resurrezione
Dunque la funzione presidenziale del libro degli evangeli è propria di ogni contesto di assemblea liturgica riunita in sinassi: l'Evangeliario mostra in modo visibile la presidenza di Cristo nell'assemblea. Così, la Parola può piantare la sua tenda nella fragilità delle parole umane, tanto che, come scriveva Karl Rahner, «al Verbo di Dio ci si può accostare, nella maniera voluta dal Signore, solo facendo parte di una comunità alla quale il Libro sacro appartiene come elemento costitutivo, come un medium in cui tale comunità possiede stabilmente la presenza di Cristo» . Dove c'è la Chiesa, là c'è Cristo, là c'è la sua Parola viva: là c'è il sacramento del suo Corpo glorificato. I Padri non sapevano concepire una Bibbia fuori del mistero ecclesiale: fuori dello Spirito che vive nella coscienza attuale della Chiesa, la Scrittura è solo lettera che uccide (cfr. 2Cor 3,6) e Cristo non parla più «cuore a cuore» (Os 2,16).

La liturgia della Parola, non essendo introduzione al mistero, è mistero essa stessa. Per questo ha bisogno di un luogo proprio per la sua celebrazione: l'ambone, vera presenza simbolica pasquale, solenne, eloquente, capace di far riecheggiare la Parola anche quando non è proclamata. L'ambone, lungi dall'essere un semplice leggio seppur coperto da qualche panno solenne, ha il compito di dar luogo alla celebrazione della Parola, affinché essa avvenga; quindi, deve essere il luogo preminente della voce e del suono, dando evidenza alla persona che proclama, ma anche dando supporto-evidenza al libro da cui si proclama. L'ambone, che si pone in dialogo con l'altro luogo liturgico dell'altare e dà evidenza alle azioni del proclamare, venerare, acclamare, opera per dare estensione e intensità amplificata al risuonare della voce e al simbolo dell'Evangeliario e del Lezionario, e al tempo stesso diminuisce una troppo facile identificazione tra lettore e parola letta, accentuando la provenienza "altra" e "alta" di questa. La persona che proclama, il lettore, è al servizio della provenienza divina della Parola e della comunicazione interpersonale, che è la natura profonda della rivelazione divina attestata dalla Parola proclamata.

L'esperienza viva della liturgia della Parola assurge a quanto Gesù fece nella sinagoga di Nazaret, in giorno di sabato, leggendo e commentando la Scrittura (Lc 4,16-21). È solo nei Vangeli che si trova quanto «Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo» (At 1,1-2).